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Muore Padre Fedele Bisceglia, il monaco ultras del Cosenza: aveva 87 anni Calcio Provincia e Regione zonarcs 

Muore Padre Fedele Bisceglia, il monaco ultras del Cosenza: aveva 87 anni

Si è spento stanotte a 87 anni Padre Fedele Bisceglia, frate cappuccino e volto noto della solidarietà calabrese, personaggio discusso, amato e per molti indimenticabile. La sua vita ha intrecciato carità evangelica, passione calcistica, fede profonda e un lungo calvario giudiziario che ne ha segnato l’esistenza. Si è spento stanotte a 87 anni Padre Fedele Bisceglia, frate cappuccino e volto noto della solidarietà calabrese, personaggio discusso, amato e per molti indimenticabile. La sua vita ha intrecciato carità evangelica, passione calcistica, fede profonda e un lungo calvario giudiziario che ne ha segnato l’esistenza.

Dopo la sospensione ecclesiastica, Bisceglia continuò il suo impegno tramite una nuova realtà, “Il Paradiso dei Poveri”, proseguendo la sua opera sociale nonostante le difficoltà. Tra le immagini più iconiche di Padre Fedele, quella del prete in tonaca tra gli spalti del San Vito-Marulla, cuore pulsante della tifoseria rossoblù. Amava definirsi “prete ultras” e negli anni ‘80 promosse addirittura il primo raduno nazionale degli ultras italiani. Il suo intento era chiaro: unire due mondi apparentemente lontani, fede e passione sportiva, nel nome di valori comuni come lealtà, comunità e coraggio. Per molti tifosi del Cosenza, la sua figura è tuttora leggendaria. Nel 2006 la sua vita subì un drastico ribaltamento. Fu arrestato con l’accusa di violenza sessuale nei confronti di una suora che collaborava con l’Oasi Francescana. Il caso fece scalpore: un frate conosciuto e stimato, improvvisamente al centro di un’accusa gravissima. Seguì un iter processuale lungo e tormentato: dalla condanna in primo grado a 9 anni e 3 mesi, alla conferma in appello con un verdetto che sembrava definitivo. Ma nel 2013 la Cassazione annullò la sentenza, disponendo un nuovo processoNel giugno 2015, la Corte d’Appello di Catanzaro lo assolse pienamente e la sentenza fu poi confermata dalla Cassazione. Nonostante l’assoluzione giudiziaria, la Chiesa non lo ha mai riabilitato pienamente. Rimase sospeso “a divinis”, quindi impossibilitato a celebrare Messa, confessare o esercitare il ministero sacerdotale. Un’esclusione che ha pesato molto su di lui, come dichiarò pubblicamente: “Mi hanno assolto i giudici, ma non la Chiesa. È un dolore che porto nel cuore”, disse. Negli anni successivi molti fedeli e laici chiesero la restituzione del sacerdozio, sostenendo la sua innocenza e la necessità di perdono, ma la Curia non modificò la sua posizione.

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